Luglio 2021 - Regal Truffle
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Luglio 2021

Come conservare il tartufo

Come conservare il tartufo fresco?

By Curiosità tartufoNo Comments

Come conservare il tartufo è una domanda che tutti coloro che ne hanno avuto la disponibilità si sono fatti, soprattutto se non esperti. Il tartufo è uno dei cibi più pregiati e più costosi. Questo prezioso fungo è particolarmente delicato e deperibile, e per questo merita una cura particolare per preservarne le caratteristiche e, in particolare, il suo specifico odore per cui tanto viene apprezzato. Ecco alcuni consigli utili a capire come conservare il tartufo.

Iniziamo con il dire che per conservare più a lungo le caratteristiche del tartufo questo non va pulito subito se non lo conserviamo sottovuoto o in freezer. Un leggero strato di terra rallenta le proliferazione di muffe e altri microrganismi e gli permettono di continuare la maturazione. Una pulizia accurata andrà fatta solo al momento del consumo.

Per conservare l’aroma del tartufo è opportuno riporlo in frigo in barattolo di vetro, avvolto da carta da cucina, da cambiare ogni uno o due giorni per evitare, sempre, il formarsi di muffe.

È possibile, anche, porre nel contenitore del riso per farlo impregnare dell’odore del tartufo, ma occorre fare attenzione: il riso assorbe umidità e potrebbe fa seccare troppo il prezioso fungo.

E’ possibile conservare il tartufo anche congelato, intero o grattugiato, ma preferibilmente sottovuoto. In questo modo il tartufo si manterrà fino a 12 mesi. Una volta tolto dal freezer va macinato o grattato prima di farlo scongelare completamente.

Per conservare il tartufo è possibile conservarlo sott’olio, mettendolo in un barattolo fino a ricoprirlo completamente. Una possibile alternativa per mantenere l’aroma del nostro tartufo è utilizzare il burro. È possibile, infatti, realizzare del burro tartufato, prodotto facendo sciogliere e poi solidificare del burro, delle scaglie di tartufo e due pizzichi di sale. Il preparato va conservato in freezer.

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piante da tartufo

Quali sono le piante da tartufo

By Curiosità tartufoNo Comments

La scelta delle piante da tartufo è uno degli aspetti critici quando si vuole coltivare tartufi.

Ma cosa è in dettaglio un tartufo? Il tartufo è nella sostanza un fungo appartenente al genere Tuber, che, a differenza dei funghi che siamo abituati a vedere, compie il proprio intero ciclo vitale sotto terra e per questo viene detto “ipogeo”.

Per poter crescere il tartufo deve obbligatoriamente vivere in simbiosi con piante da tartufo per produrre il prezioso “sporocarpo”, ovvero il corpo del tartufo. Questo è formato da una parete esterna detta “peridio”, che può essere liscio o sculturato e di colore variabile dal chiaro allo scuro.

La massa interna del tartufo, detta “gleba”, di colore variabile dal bianco al nero, dal rosa al marrone è percorsa da venature più o meno ampie e ramificate. Tali venature delimitano gli alveoli in cui sono immerse delle grosse cellule (gli “aschi”) contenenti le “spore”. Le caratteristiche morfologiche del peridio, della gleba, degli aschi e delle spore, insieme alla dimensione ed alle caratteristiche organolettiche del tartufo ne permettono l’identificazione delle diverse specie.

Il rapporto tra la pianta e il tartufo è di tipo simbiotico e lo scambio di sostanze tra i due partner avviene a livello delle radici in particolari formazioni, simili a tubicini, dette “micorrize”, la loro struttura è caratteristico per ogni specie.

A differenza dei funghi epigei che sviluppano corpi fruttiferi al di sopra del terreno, i funghi ipogei come i tartufi non possono sfruttare le correnti d’aria per diffondere delle spore. La natura li ha, quindi, dotati di un forte odore, percepibile solo al momento della maturazione delle spore, che attira insetti e mammiferi, i quali cibandosi del tartufo, provvedono alla diffusione delle spore.

Le specie di tartufi sono decine, solo poche sono edibili. Tra queste il Tuber melanosporum, è considerato il più pregiato tra i tartufi neri. La sua dimensione può raggiungere e anche superare quello di una grossa mela. Viene raccolto durante tutto il periodo invernale ed in particolare nei primi mesi dell’anno. Il tartufo nero pregiato si presta alla coltivazione in tartufaia.

Il Tuber melanosporum si può trovare in ambiente collinare, con piante abbastanza distanziate a costituire boschetti radi. Il terreno deve essere calcareo-breccioso, ricco di carbonato di calcio e deve contenere una percentuale di argilla non superiore al 40%. Nelle tartufaie è necessaria una buona penetrazione di luce e un buon riscaldamento del suolo.

Quali sono le piante da tartufo più adatte?

Le piante da tartufo simbionti del Tuber melanosporum sono sette:

  1. La roverella (Quercus pubescen)
  2. Il leccio (Quercus ilex)
  3. Il cerro (Quercus cerris)
  4. Il tiglio (Tilia platyphyllos)
  5. Il nocciolo (Corylus avellana)
  6. Il carpino nero (Populus alba)
  7. Il cisto rosso (Cistus incanus)

La coltivazione del tartufo non è impresa facile, per questo motivo Regal Truffle ha ideato il progetto “Adotta un Re”, con cui Regal Truffle si occupa di tutto e a te va il tartufo!

Lagotto cane da tartufi

Il Lagotto il cane da tartufo

By Curiosità tartufoNo Comments

Il Lagotto Romagnolo è noto per essere il “re del tartufo”. È, infatti, l’unica razza riconosciuta dalla FCI (Fédération cynologique internationale, federazione internazionale delle associazioni di allevatori canini fondata nel 1911) per la cerca del tartufo. Il Lagotto è diventato il cane da tartufo per eccellenza essendo docile, resistente alla fatica e non distratto dalla selvaggina.

Sobrio, intelligente, affettuoso e attaccato al proprietario. È facilmente addestrabile. Non è un cane adatto a proprietari nervosi e dai modi bruschi. Questo cane di fronte a tali proprietari, si intimidisce e si chiude a riccio non concedendo alcuna confidenza.

Origini del Lagotto

Il Lagotto è una razza dalle antiche origini italiane, sviluppata nelle zone paludose del sud del delta del Po: specificamente nel ravennate e nelle pianure di Comacchio.

Il nome della razza trarrebbe origine dalla lingua romagnola: “Càn Lagòt”, che significa: “cane da acqua”. Prima delle bonifiche del ‘800, nelle valli di Comacchio e nelle zone paludose della Romagna, il cane veniva utilizzato infatti per il riporto della selvaggina volatile.

Parallelamente a questa attività venatoria il lagotto svolgeva un’utile, ma meno nota, attività di ricerca del tartufo, allora ben più abbondante. Con la scomparsa, ad opera delle bonifiche, delle valli paludose si è persa la necessità ad utilizzare il lagotto come cane da riporto. Inoltre, parallelamente con l’eliminazione nelle vigne dei supporti in legno a favore di quelli in cemento e con l’impoverimento dei boschi in pianura, si è avuta la scomparsa dei tartufi nelle zone pianeggianti. A seguito di questa circostanza la cerca del tartufo si è spostata in zone più collinari e boschive, ed ancora una volta l’adattabilità della razza si è mostrata preziosa: il pelo e sotto pelo proteggono infatti l’animale dalle spine spesso presenti nel sottobosco.

L’impiego del Lagotto nella ricerca del tartufo ha preso, successivamente, il sopravvento fino a specializzare la razza in questa attività in modo esclusivo nell’intero panorama mondiale; anche e soprattutto perché la razza è ottimamente addestrabile e possiede un’ottima cerca e un notevole olfatto.

Nonostante le spiccate attitudini del Lagotto e di poche altre razze, molti esperti sono del parere che qualsiasi cane, anche un meticcio ben addestrato, è in grado di svolgere questo compito. L’importante è che il cane abbia un olfatto ben sviluppato.

La legge italiana, peraltro, prevede che per cercare il tartufo è obbligatorio l’ausilio del cane. Ovvero, è vietato cercare tartufo senza cane in quanto risponde ai richiami del padrone e non danneggia il territorio in cui è cresciuto il tartufo.

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